Robert M.G. Reinhart e John A. Nguyen, due scienziati dell’Università di Boston, hanno pubblicato uno studio sulla rivista Nature Neuroscience, nel quale illustrano come, attraverso la stimolazione elettrica, si possa potenziare, per alcuni minuti, la memoria di lavoro negli anziani.
Tale procedimento, che permette di potenziare alcune aree del cervello, al fine di migliorare le capacità dei neurotrasmettitori di tenere a mente determinate informazioni per usarle poco dopo, viene anche definita, in termini tecnici, “memoria di lavoro”.
Lo studio da loro eseguito, nel quale sono stati coinvolti 84 partecipanti – la prima metà composta da giovani tra i 20 e i 29 anni e la seconda metà di età compresa tra i 60 e i 76 anni – ha permesso di scoprire come, a causa del processo di invecchiamento, la memoria di lavoro finisca per perdere i colpi e diventare meno funzionale nel custodire informazioni.
A provocare questo “malfunzionamento” non sono solo i cambiamenti che si possono osservare nella materia grigia e bianca, ma anche alterazioni nel flusso sanguigno cerebrale e modifiche nel sistema di comunicazione delle connessioni, anatomiche e funzionali, tra diverse aree del cervello, collegate all’azione dei neurotrasmettitori.
Ciò che condiziona aree che, normalmente funzionano in maniera coordinata e sincronizzata, alcuni tipi particolari di onde cerebrali – dette theta e gamma – presenti nelle aree temporali e prefrontali, che negli anziani sono state stimolate con una tecnica non invasiva, nota come stimolazione transcranica a corrente alternata (TACS).
Grazie a tale procedimento, si è potuto appurare come l’età possa influenzare il funzionamento della memoria, e di come l’uso del processo di stimolo del cervello permetta un aumento della capacità di sincronia nell’attività cerebrale delle aree prefrontali e temporali, insieme a una maggiore interazione nell’attività dei circuiti coinvolti.
Quello che ora bisogna capire è se tale scoperta possa risultare utile per possibili interventi correttivi in caso di patologie legate alle funzioni cognitive, come la demenza, e se non si rischiano peggioramenti in altre aree delle funzioni cognitive.