Tra i mille segreti che la Campania nasconde nelle sue straordinarie scoperte archeologiche si può addirittura risalire ad un dolce. La Cassata, questo dolce tipico della regione Sicilia in verità ha origini molto più antiche. La storia riconduce alla dominazione araba in Sicilia nel IX-XI secolo, ma gli arabi avevano introdotto in Sicilia la canna da zucchero, il limone, il cedro, l’arancia amara, il mandarino, incrementato la coltivazione della mandorla, già con i Fenicie quindi probabilmente già precedentemente. Successivamente diffusa in tutta la Magna Grecia e nel Mediterraneo dai Greci, questa torta che Insieme alla ricotta di pecora, che si produceva in quegli anni proprio in Sicilia già da tempi preistorici, sono stati rielaborati e riuniti con gli altri ingredienti per creare appunto la base della cassata, che all’inizio non era che un involucro di pasta frolla farcito di ricotta zuccherata e poi infornato, ma una diversa variante. La cassata siciliana, probabilmente dall’arabo quas’at, “bacinella” o secondo altri storici dal latino caseum, “formaggio”, seppur abbiamo tante informazioni ricostruite, non è la Sicilia ad avere l’esempio più antico del dolce ma la Campania. Nella Villa di Oplonti detta di Poppea, superato il grande atrio e proseguendo nel salone n.8, e probabilmente si tratta di un triclinio, si ritrova un affresco in II stile, con colonne in primo piano e su un alto podio e colonnati in secondo piano, creando la consueta fuga prospettica. Sull’architrave dell’edicola centrale domina una maschera teatrale, ai lati invece sono collocate due bellissime anfore d’argento. Altro capolavoro ai lati sono vari elementi decorativi che danno prova dell’abilità dell’artista e della sua capacità di rappresentare la natura con straordinario realismo, come la coppa in vetro con le melagrane, il cesto di frutta coperto da un leggero velo trasparente (il melograno possiede anche un significato arcaico e profondo dal duplice significato e simboleggia sia la vita che la morte, infatti sono come i due opposti per eccellenza, la vita e la morte, siano collegati da un filo sottile), il grappolo d’uva, e appunto la torta, denominata per il suo aspetto “la cassata di Oplontis”, al centro di un vassoio poggiato su un piccolo treppiede.
Nulla oltre che avere non solo la vera immagine del dolce antico ma anche la ricetta, ritrovata da resti papiracei proprio a Torre Annunziata. Il cuoco è, come d’uso presso le domus patrizie e vista l’approssimativa capacità nella scrittura in latino, probabilmente uno schiavo.
Ricetta Cassata Oplontina:
Prendi tre once di albicocche di prugne e di uva passe.
Sminuzza i frutti secchi o con un coltello a mezza luna o con un coltello normale a seconda se vuoi pezzi più sbriciolati o meno.
Cuoci nel miele tre once di noci e due once di pinoli, finché diventa duro, stai attento a non scottarti le dita perché il miele è tanto caldo.
Raffredda il dolce duro ottenuto e poi sminuzzalo in pezzetti piccoli.
Mescola a lungo tre libbre di formaggio di ovino finché diventa morbido.
Quindi amalgama lentamente mezza libbra di miele.
Aggiungi il dolce duro sminuzzato e mescola il tutto.
Mescola farina di mandorle con miele e polvere di cocciniglia. Copri il bordo di una pentola con questo confetto di mandorle e metti nel centro il composto con il formaggio e fai riposare in un luogo fresco per un tempo adeguato.
Puoi usare anche una dispensa con ghiaccio, se il tuo padrone ne possiede una.
Disponi la cassata sopra un piatto da portata e coprila con un velo di formaggio adeguatamente mescolato.
Decora con noci, datteri e fichi secchi.
Ora non ci tocca che degustare la Cassata Oplontina andando prima a vederla nella Villa di Oplonti e poi seduti ad un caffè locale.