Quando un compagno di lotta muore in guerra
Bucky Barnes.
La spalla di Capitan America – alias Steve Rogers – durante la Seconda Guerra Mondiale, morto verso la fine del 1945 per evitare che un aeromobile a pilotaggio remoto sperimentale carico di esplosivi distruggesse Londra.
Questo fino a quando Ed Brubaker – nel suo ciclo di otto anni sull’eroe a stelle e a strisce – non ha rivelato che il suo corpo, privo del braccio sinistro, era stato ritrovato e recuperato da un sottomarino sovietico che lo aveva trasportato a Mosca dove, sfruttando la sua perdita di memoria, il governo russo lo ha trasformato in un killer mantenuto in stato vegetativo e sottoposto a lavaggio del cervello ogni volta che viene usato per eliminare un nemico del mondo comunista.
È a lui e alla sua memoria che viene dedicata la miniserie Capitan America – Bianco, ad opera dei grandi Jeph Loeb & Tim Sale.
Risvegliato dai Vendicatori, che lo hanno ripescato nei freddi mari del nord dove aveva vagato dentro un iceberg, Steve Rogers incontra in una chiesa Nick Fury, con il quale rivanga la prima missione che lui e il suo partner hanno affrontato: recuperare gli Howling Commandos di Fury dalla Francia occupata dai Nazisti, e impedire al Teschio Rosso di distruggere il Louvre.
Ed è attraverso tali ricordi, dolorosi e sanguinanti, che emerge il rapporto di amicizia tra il Capitano e il suo partner, le occasioni mancate, i pericoli affrontati, e l’incapacità di Rogers di riuscire a perdonarsi di essere ancora vivo.
E sarà ciò che lo tormenterà per anni, rendendogli impossibile vivere al meglio la seconda opportunità di vita che il fato gli ha donato, e di riuscire a coltivare dei veri rapporti di amicizia al di fuori dei Vendicatori e dei colleghi super eroi, con l’eccezione di Wolverine e Cable, che con lui condividono il fatto di essere stati trasformati in armi da guerra umane e di essere uomini fuori dal loro tempo.
Capitan America – Bianco: In ricordo di chi è caduto per una nobile causa, quando era possibile riconoscere il male.