Brunetta, il nemico dei “furbetti”, che vanta di essere stato consigliere economico di Craxi, Amato e Ciampi, si prepara a riprendere la sua vecchia riforma – ovvero premiare i lavoratori meritevoli e punire i fannulloni, anche con il licenziamento – dovendo, però, prima affrontare la regolamentazione dello smart working.
Viene data quasi per sicura la ripresa dei suoi precedenti propositi, da applicare prima che la situazione cessi di essergli favorevole per farlo, come già avvenuto più di un decennio fa, quando Renzi e Madia bloccarono il tutto.
Il suo “programma” del 2009 prevedeva di migliorare la qualità del lavoro pubblico – allo scopo di assicurare una maggiore produttività che riconoscesse “solo meriti e demeriti dei dirigenti pubblici e del personale” – per rilanciare i livelli di efficienza, anche a scapito dei sindacati.
Tra i suoi “presunti punti di forza” maggiore trasparenza per perseguire meglio le funzioni istituzionali e un controllo interno ed esterno, fornendo incentivi economici e di carriera per premiare i capaci e i meritevoli, insieme a performance di eccellenza sui progetti innovativi e criteri meritocratici per le progressioni economiche, e permettendo l’accesso dei dipendenti migliori a percorsi di alta formazione.
Uno dei “punti dolenti”, però, era la creazione di un’apposita Commissione per Valutazione, trasparenza e integrità dei vari organismi indipendenti di valutazione, con il compito di redigere una graduatoria annua delle performance delle amministrazioni con la quale la contrattazione collettiva nazionale poteva ripartire le risorse e premiare le migliori strutture, finendo per alimentare una competizione di tipo “cannibalistico”.
Dando poteri ai dirigenti come “responsabili della gestione delle risorse umane, della qualità e quantità” del prodotto delle Pubbliche amministrazioni, si pensava di rafforzare il condizionamento della contrattazione decentrata e della retribuzione accessoria, fino all’effettivo conseguimento di risultati programmati e di risparmi di gestione.
Il problema in questo è che loro diventavano i veri responsabili dell’attribuzione dei trattamenti economici accessori, competendogli la valutazione della performance individuale di ciascun dipendente con criteri certificati dal sistema di valutazione, diventando teoricamente sanzionabile, anche economicamente, qualora non avesse svolto bene il suo lavoro.
In pratica, il tutto si riduceva a dare un potere “quasi di vita e di morte” ai dirigenti, che solo in teoria potevano essere sottoposti a controllo se “sgarravano male”, insieme all’ abolizione dei collegi arbitrali di impugnazione e sanzioni riguardanti i casi di false attestazioni di presenze o di falsi certificati medici
Fonte articolo: quifinanza.it
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