Al centro dell’ideologia nazista vi era la politica demografica, ovvero favorire l’aumento della popolazione tedesca ed all’opposto far diminuire le nascite delle popolazioni “subumane”, ossia slavi, zingari, ovviamente ebrei.

È del 1933 la “Legge sulla sterilizzazione”, applicata nel più ampio piano di igiene razziale che però costò allo stato l’equivalente di 5 milioni di dollari attuali, un prezzo insostenibile, tanto da indurre al ricorso di sistemi alternativi come la scarnificazione delle tube e l’uso dei raggi X. L’impiego di queste metodologie risultava troppo lungo e costoso in un’ottica di applicazione nazionale. Ecco che i campi di concentramento si rivelarono una fonte preziosissima da cui attingere cavie umane per sperimentare metodi alternativi alla chirurgia allora vigente, ma assurdi e letali.

Ad Auschwitz uno dei più grandi mietitori di vittime fu il professor Clauberg, che procedeva alla sterilizzazione introducendo nell’utero sostanze irritanti forse a base di nitrato d’argento misto a sostanze radiologiche, attraverso l’uso di una siringa. La “cura” prevedeva almeno tre iniezioni di liquido affinché la sterilizzazione fosse definitiva e questo provocava dolori intensissimi ed emorragie diffuse, ma le povere cavie venivano non invitate, ma costrette, sotto minaccia di essere uccise all’istante, al silenzio, senza poter gridare. Scese dal lettino dovevano camminare dritte e uscire cantando dalla baracca adibita a laboratorio con l’ordine preciso di non parlare di quanto accaduto con nessuno. Il giorno seguente, come ogni giorno all’alba e al tramonto, erano obbligate all’appello che durava due o tre ore, ed erano costrette a rimanere in piedi e dritte nonostante le emorragie.

Inutile dire che molte morivano e subito venivano cremate, mentre altre, immaginando che non sarebbero uscite vive da quelle che venivano fatte passare come visite ginecologiche, cercavano di lasciare un messaggio o almeno il loro nome alle compagne più anziane, oppure a quelle che non dovevano essere sterilizzate. Ultimo disperato gesto per lasciare almeno traccia di sé.

Dopo un anno Clauberg rese noto che il suo metodo era quasi messo a punto, e che un medico con 10 assistenti poteva sterilizzare 1000 donne al giorno.

Le testimonianze delle detenute sono sconvolgenti: “Il professor Clauberg mi sottopose a quattro iniezioni, a due prove del sangue e a diversi altri esperimenti al basso ventre, soprattutto all’utero. Non saprei dire con esattezza ciò che mi venne fatto perché mi bendavano gli occhi e minacciavano di uccidermi all’istante se avessi gridato. Nonostante i dolori fortissimi che seguivano dopo ogni esperimento dovevo andare cantando al lavoro col sorriso sulle labbra” (Chana Chpfenberg, matricola di Auschwitz n. 50344). “Ad alcune giovani donne greche il professor Clauberg fece inaridire artificialmente le ovaie e poi, per osservare il risultato, faceva loro aprire il basso ventre. Molte morirono e le sopravvissute risentono ancora oggi di quelle operazioni” (Rywiza Grynberg, matricola di Auschwitz n. 52318).

Il “Metodo Clauberg” non fu l’unico ad essere sperimentato sulle deportate. Diversi medici si avvicendarono, e ciascuno a discapito di quelle che venivano chiamate “Krouki” (dal polacco significava cavie umane), si dilettò a fare Dio. Le prigioniere su cui venivano compiute operazioni chirurgiche ed esperimenti cominciavano dal n. 5000 e la loro baracca aveva la sigla NN (Nacht und Nebel, ossia notte e nebbia). Questa sigla compare nei documenti della Gestapo e delle SS accanto al nome di persone che dovevano scomparire senza lasciare traccia…

… nella notte e nella nebbia.

FONTEpinchetti.net
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Dott.ssa Assunta Mango, laureata in economia all’Università Federico II, giornalista, scrittrice, ricercatrice e mobility manager, addetta alla selezione e valutazione del personale nonché progettista presso il Comune di Napoli. Ha pubblicato: “Napoli Esoterica: I tre Decumani“, "Tempo e Tradizioni: I mestieri nel Presepe Napoletano", "Storie e leggende tra i due laghi“, "Mirate al cuore", "Io, sono Giuditta". Regista e sceneggiatrice di commedie teatrali e socia fondatrice dell’Associazione “Oltre i Resti“.