L’Organizzazione Mondiale della Sanità, da qualche mese, ha rilasciato una stima allarmante per quanto riguarda i casi legati al Morbo di Alzheimer che, verso il 2050, sono destinati a triplicarsi oltre gli attuali 1.241.000 individui già affetti (di cui 600.000 solo nel nostro paese).
Nonostante la mancanza di un farmaco anti-Alzheimer, i ricercatori stanno proseguendo negli studi per ridurre gli effetti di tale morbo ed è emerso che la dopamina, neurotrasmettitore usato contro il parkinson, possa essere utile contro i deficit cognitivi e di comportamento provocati da esso.
Di un certo interesse è la scoperta di alcuni particolari geni che forniscono i dati genetici necessari alla fabbricazione di determinate proteine, la cui mancanza potrebbe spiegare la causa di malattie neuro degenerative nell’uomo.
Al momento, solo la diagnosi precoce permette di contrastare i problemi provocati da tale morbo; anche grazie allo studio dei biomarcatori specifici si è potuto agire per ridurre al minimo i disagi e intervenire per consentire uno stile di vita meno penoso.
Ad affrontare i problemi derivanti da tale male non è solo chi ne è affetto, ma anche i loro familiari, che spesso si ritrovano da soli davanti al decorso di una malattia che, poco alla volta, consuma la persona a loro cara, che diventa incapace di ricordarli.
Ma i familiari di chi è affetto dall’Alzheimer si trovano, purtroppo, a doversi confrontare, in diversi casi, con l’emarginazione e il pregiudizio sociale nei loro confronti, per via della mancanza di informazioni legate a tale male.
L’accusa peggiore rivolta a coloro che ne soffrono è quella di essere, agli occhi di chi è sano, dei “gusci vuoti”, togliendo loro, così, ogni rimanente dignità, senza pensare o comprendere la realtà o il dolore della perdita, per loro, di qualcosa di così scontato come la normalità.