Una troupe televisiva russa, durante un sorvolo nella regione nell’area della Siberia, ha individuato un grosso cratere della profondità di circa 50 metri che, fino a non molto tempo prima, non era mai stato segnalato dai satelliti.

L’origine del cratere, finora ignota, sembra essere legata allo scoppio di una massiccia bolla di gas metano, che si è gonfiata dopo lo scioglimento del permafrost in Siberia, esplodendo e lasciando un grosso foro che si stima profondo 50 metri.

In precedenza, nel 2014, un evento stranamente simile e inquietante era stato avvistato nella penisola di Yamal, nel nord-ovest del continente russo, dopo una serie di estati con altissimi livelli di caldo alquanto anomalo.

La teoria più accreditata, finora, è che l’esplosione possa essere il risultato dell’improvviso crollo dei rigonfiamenti della tundra, che si vengono a formare quando lo scioglimento del permafrost finisce per provocare un accumulo di metano – un gas serra 84 volte più potente dell’anidride carbonica – sotto la superficie dell’area dell’incidente.

Da diverso tempo, la zona artica sta subendo, in maniera repentina, un rapidissimo collasso del permafrost e, anche se la formazione di tali voragini è quasi sicuramente influenzata dai cambiamenti climatici, nessuno sta indagando su eventuali correlazioni che potrebbero dare il via a un circolo vizioso che rischia di rendere l’attuale crisi climatica globale ancora più grave e pericolosa.

Secondo alcuni studi, si calcola che ci siano oltre 7.000 sacche di gas sotto la penisola siberiana, che si sono espanse in questi ultimi anni, e che rischiano di detonare una volta che lo scioglimento del permafrost sarà irreversibile provocando anche il rilascio di depositi di metano nell’Artico, e un disastro ecologico dal quale non si potrà più tornare indietro.

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