27 febbraio 1960: a causa di un incidente in treno da Milano in direzione della Svizzera, perde tragicamente la vita Adriano Olivetti, industriale e imprenditore la cui storica fabbrica dava lavoro a circa trentaseimila mila persone, venticinquemila mila delle quali residenti in Italia.
Uomo intelligente, con capacità degne di un intellettuale e di un visionario, fu in grado di intraprendere, molto prima degli altri, strade mai percorse, che garantirono alla sua azienda e a chi vi lavorava stabilità e ricchezza.
Anni prima dei contratti collettivi di lavoro, portò l’orario di lavoro da quarantotto a quarantacinque ore settimanali, con parità di salario, riconoscendo il congedo di maternità per nove mesi e mezzo con retribuzione dell’’80% – misura messa in atto dal governo solo molti anni dopo – costruendo, in più, asili nido vicini alle fabbriche.
Per evitare l’alienazione lavorativa dei propri dipendenti, fornì i suoi stabilimenti di ampie vetrate, per permettere la presenza di luce negli ambienti di lavoro, allo scopo far mantenere ai dipendenti un rapporto con la natura e il territorio, concedendo prestiti agevolati a chi possedeva attività agricole, per evitare che fossero costretti ad abbandonare le campagne.
Tra i suoi accorgimenti, la creazione di una biblioteca aziendale, che i dipendenti potevano frequentare anche nell’orario di lavoro mentre, nei locali normalmente adibiti come mensa, venivano periodicamente organizzati spettacoli teatrali per i lavoratori.
L’Obiettivo di Olivetti era quella di costruire un’azienda dove non contava solo il profitto, ma che avesse anche una precisa funzione e responsabilità sociale, dai molteplici strumenti di azione culturale per permettere all’uomo che vive la lunga giornata lavorando in officina di non perdere la propria umanità in una tuta da lavoro.
In un paese devastato in ambito lavorativo e sociale come ora, la sua lezione merita di essere riscoperta, per ridare forza e dignità a chi lotta per sopravvivere.