Due ricercatori dell’Università della Pennsylvania, Hongjun Song e Guo-li Ming, coadiuvati dai loro colleghi, hanno individuato un quantitativo di cellule nervose presenti nell’area del cervello che viene chiamata ippocampo.
Tale scoperta potrebbe permettere di riuscire a comprendere al meglio le funzioni legate all’apprendimento e alla memoria, e riuscire a sviluppare procedimenti che ne garantiscano, nelle fasi di vecchiaia o in caso di incidenti, la rigenerazione delle aree soggette a problemi simili.
Lo studio, legato ai mammiferi, ha dimostrato che i neuroni, presenti nell’ippocampo, sono in grado di crescere e di maturare nell’arco dell’esistenza di un intero ciclo di vita di una persona grazie alle cellule staminali di cui è dotato l’organismo.
I vantaggi, derivanti da tale ricerca, sono alquanto interessanti; la capacità di flessione di nuovi neuroni, infatti, sembra permettere la nascita di connessioni con le strutture neurali già esistenti, rafforzandole e garantendo un migliore funzionamento del pensiero cognitivo.
A trarre vantaggio da ciò, vi sono la memoria e la regolazione dell’umore, che possono riuscire a mantenere le loro funzionalità in maniera da non subire cambiamenti tali da portare a danni seri, se non in determinati casi legati a problemi esterni.
Oltre all’ippocampo, esiste un’altra regione cerebrale dove si sviluppano e localizzano i neuroni: i centri dell’olfatto, che fungono da magazzino supplementare fin da quando il cervello è ancora in fase di sviluppo e seguendolo dalla nascita fino all’età adulta.
Grazie alla plasticità presente nel cervello, il poter formare nuove connessioni per tutto l’arco di esistenza di una persona per compensare lesioni e malattie e riuscire ad adattarsi ai nuovi input dell’ambiente può garantire una vita migliore a molti.
Se tali, importati scoperte sono avvenute, è stato grazie alla sperimentazione che, con l’uso di topi, ha permesso di rintracciare, dopo vari tentativi, quello che viene definito come “magazzino di cellule nervose” grazie all’uso di apposite proteine fluorescenti, che ne hanno permesso l’individuazione.