Jekyll & Hyde.
La rappresentazione della dualità dell’animo umano, messo a nudo abilmente da Robert Louis Stevenson, quando narrò di come il Dottor Henry Jekyll, nel tentativo di indagare nell’oscurità che si cela dentro le persone, sviluppa un siero capace di scindere il bene dal male nelle persone, trasformandole nelle loro incarnazioni più malvagie e bestiali, finisce per diventare vittima di Edward Hyde, un essere di carnagione pallida, tozzo, piccolo di statura e con voce roca (rappresentazione del suo “demone interiore), che alla fine lo condurrà al suicidio per salvare chi gli è caro dalla rovina.
Ma è Hyde a dover per forza ricoprire il ruolo del “mostro” e Jekyll quello del “buono”?
Il regista Terence Fisher, coadiuvato dalla Hammer Film Productions (casa di produzione cinematografica britannica, famosa per i film horror prodotti dalla fine degli anni cinquanta fino agli anni settanta) stravolge abilmente la storia nel film The Two Faces of Dr. Jekyll (qui in Italia ribattezzato, per motivi ignoti, Il Mostro di Londra) mostrandoci un Mr. Hyde bello di aspetto, capace di nascondere senza alcun problema la sua natura fredda e crudele (che gli permetterà di depistare senza alcuna fatica la Polizia), mentre il dottor Jekyll è un individuo misantropo e votato alla ricerca scientifica, tanto da trascurare la moglie e spingerla a commettere adulterio, della cui morte si macchierà il suo alter ego malvagio in un turbinio di malvagità e perversione che fanno da impietoso sfondo a una Londra Vittoriana ipocrita e violenta.
Sarà nel finale che si arriverà alla resa dei conti, quando, recuperato il suo vero aspetto, verrà catturato e rinchiuso in prigione o in un ospedale psichiatrico, trattato come un fenomeno da baraccone, disumanizzato in un’epoca di falsità che lo ha spinto ad intraprendere esperimenti “proibiti”.
Un classico ancora attuale, che ci porta a domandarci se siamo in grado di controllare le nostre pulsioni più oscure.