L’immagine pubblicitaria con una bambina in jeans, giubbotto e velo islamico sul capo, ha scatenato in Francia una dura polemica, tanto da indurre due deputate di maggioranza e opposizione ad aderire alla campagna di boicottaggio del marchio. “Cominciare l’anno con il piede giusto consiste nel non metterne più uno da Gap – scrive Aurore Bergé, deputata di En Marche, il partito del presidente Macron, su Twitter -. Nulla autorizza né giustifica che venga messo il velo alle bambine: dov’è la loro libertà? Dov’è il loro libero arbitrio? Dov’è la loro scelta? Che sia un argomento commerciale mi disgusta”.
Sempre su Twitter commenta la collega dei Républicains (destra), Lydia Guirous: “Ho denunciato a più riprese questo aumento di imposizione del velo alle bambine: è un maltrattamento che calpesta i nostri valori di uguaglianza, di libertà e di laicità”.                Chiaramente immediata è stata la replica dell’azienda, che ha risposto che “Gap Kids incoraggia i bambini a tornare a scuola celebrando le diversità”, ed ha aggiunto che i bambini della pubblicità studiano in una nota scuola elementare pubblica di Harlem, quartiere di New York, che conta piccoli di tante nazionalità.
Celere anche l’intervento della rete, che si divide tra chi accusa l’azienda di imporre un modello vicino alla tradizione islamica e chi assolutamente ne condivide il gesto, parlando di apertura alle diverse culture.                                                                                        Da tempo la Francia discute sulla laicità del Paese che ne rappresenta un elemento fondamentale di identità, tanto da vietare l’uso del velo negli uffici pubblici, scuole comprese; mentre dall’altra parte troviamo diversità ed integrazione quali elementi fondanti di tante campagne pubblicitarie come quella di Oliviero Toscani per Benetton, che per l’ultima ha proposto alcuni modelli nudi abbracciati e di diverse etnie.  In merito al velo in passerella, la Modest Fashion, ossia la moda di ispirazione islamica, rappresenta già un business a livello mondiale, tanto da essere parte integrante di molte collezioni famose, nonché di un accordo con Infinita Group, azienda italiana che appoggia le donne che vogliono vestirsi alla moda, pur tenendo coperto il corpo.                                                                                                        Si tratta di un giro di miliardi; si pensi che nel 2013 la Modest Fashion ha totalizzato un fatturato di 266 miliardi di dollari, oltre ad avere un target di milioni di consumatori con alto potere di acquisto. Altri brand si sono chiaramente lanciati in quest’avventura, come la DKNY, che nel 2014 ha creato una collezione femminile per il Ramadan. Ma la moda islamica è approdata anche ai grandi magazzini, contagiando marchi di fast fashion come lo spagnolo Mango, che ha proposto una sua Ramadan Collection, o l’azienda svedese H&M, che ha scelto come testimonial la modella Mariah Idrissi vestita con l’hijab.

Un vero scandalo si è avuto quando il velo, usato dalle donne musulmane, è apparso sulla copertina di Playboy.  La nota rivista americana celebre per le sue copertine osé, ha mostrato una modella (la giornalista americana di origine libica Noor Tagouri, 22 anni, è la prima donna con hijab su Playboy) vestitissima e con un velo islamico sul capo. Il fatto ha scatenato moltissime polemiche, ma anche l’interesse del mercato, sempre alla ricerca di nuovi consumatori.

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