Qualche settimana fa, sulla rivista telematica Pnas, è stato pubblicato uno studio che sembra rivelare come, per poter edificare le piramidi – come quella di Giza – gli antichi Egizi abbiamo sfruttato e deviato un antico braccio del fiume Nilo per poter creare un condotto navigabile per il trasporto delle merci. Se ciò sarà confermato, allora potrebbe finalmente cadere il “grande mistero” su come sia stato possibile “traghettare e trasportare in posizione” i grandi e massicci blocchi di pietra di cui sono composte.

Oltre ad alcune “rampe primitive”, gli antichi ingegneri avrebbero sfruttato le inondazioni annuali del Nilo per “poter creare” un ingegnoso sistema di canali e bacini, dando vita a un complesso portuale nei pressi dell’altopiano di Giza. Ciò sarebbe avvenuto dragando i vari corsi d’acqua esistenti per “generare” una sorta di “ascensore idraulico artificiale” per il trasporto di materiali da costruzione.

A confermare tale ipotesi, diverse profonde insenature, adatte per tenere a galla chiatte cariche di pietre, e site a sette chilometri ad ovest delle piramidi di Cheope, Chefren e Menkaure. A provare la loro presenza, le prove stratigrafiche di strati rocciosi sottoposti a carotaggi per l’accesso dell’acqua alle piramidi e i granelli di polline sedimentatisi, che hanno permesso di ricostruire climi passati e paesaggi vegetati oggi completamente diversi.

Tramite essi, si è potuto rivelare la precedente presenza di un corpo idrico, che avrebbe attraversato la pianura alluvionale di Giza migliaia di anni fa. Proprio tracciando l’innalzamento e la caduta del livello dell’acqua, si è avuta una conferma dei risultati ottenuti con altri documenti storici dell’epoca. Solo dopo il regno di Tutankhamon, salto al trono intorno al 1349-1338 a.C., si ebbe un declino graduale delle operazioni, evidenziato dai marcatori chimici nei denti e nelle ossa delle mummie, che indicano un ambiente arido ed inospitale per proseguire nel “processo di edificazione”.

FONTEreccom.org
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