6 maggio 1976: una potente scossa di terremoto di magnitudo 6.5 – nel brevissimo arco di un solo e singolo minuto – investì il Friuli causando ingenti danni e crolli, rendendo tutto polvere e devastazione – provocando mille morti e tremila feriti – e mettendo in ginocchio la gran parte della regione; una tragedia ricordata con la parola “Orcolat” (Orco).

Quella nefasta sera, a fungere da preludio alla catastrofe fu un’ondata di caldo anomalo; poi, poco dopo le 21,00, la terra iniziò a tremare, fagocitando – come un mostro – un mondo intero, una cultura e una comunità, mentre solo i radioamatori cercavano di mettersi in contatto con le autorità, e con gli autotrasportatori in transito per Venzone, Gemona, Osoppo che assistevano inermi al polverone sollevatosi.

Solo nelle ore successive, si riuscì ad organizzare squadre coordinate dai sindaci, dai Vigili del fuoco e dagli alpini della Julia e nei luoghi più segnati dalle scosse si riuscì a salvare numerose vite umane, grazie al lavoro – quasi sempre a mani nude – delle centinaia di volontari friulani, accorsi per portare salvezza e per avviare ad un’opera di smassamento di quello che rimaneva di case, fienili e stalle.

Il peggio avvenne a settembre, quando le scosse completarono definitivamente la distruzione, obbligando Stato e Regione a trasferire bambini, giovani e anziani verso le località marine di Grado, Lignano, Bibione e Caorle, requisendo migliaia di roulotte sparse per l’Italia, concentrandosi nei paesi più colpiti per garantire un lavoro “sufficiente” nelle fabbriche ancora in piedi.

Prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese”: fu questo il motto usato in quella situazione; garantire il lavoro ai residenti, mettere in salvo i nuclei familiari e poi pensare alla ricostruzione che si voleva “dov’era e com’era”, e tale opera fu resa possibile non solo dalla solidarietà nazionale, ma anche a quella internazionale dato che i friulani “lontani dalla loro Piccola Patriarisposero numerosi da Stati Uniti, Argentina, Australia e dai Paesi europei dove erano emigrati.

La “rinascita” costò l’equivalente di 13 milioni di euro odierni, e fu messa in atto dal popolo friulano; una dimostrazione di quello che può fare una comunità quando riesce ad essere unita, ed una lezione mai assimilata e ripetuta in altri eventi, come nel terremoto del 23 novembre 1980 in Irpinia.

 

Fonte articolo: ansa.it

Fonte foto: pixabay.com

Articolo precedenteFinalmente un “Vaccino Orale” creato dalla Federico II di Napoli
Articolo successivoNapoli-Covid: nuova ordinanza per possibile stop accessi spiagge nei weekend