Tutti abbiamo sentito parlare, almeno una volta nella vita, del leggendario Re Artù, protagonista di racconti, film, cartoni animati e serie televisive come “La spada nella roccia”, iconico film d’animazione prodotto da Walt Disney nel 1963 o “Merlin”, celebre serie televisiva britannica prodotta a partire dal 2008 ed in seguito trasmessa anche in Italia.
L’Artù Pendragon di Camelot che tutti conosciamo è un Re di Britannia, forse il più grande dei sovrani, divenuto tale dopo aver estratto da una roccia la spada Excalibur, una spada “magica” che può essere impugnata solo da chi è destinato al trono. Altrettanto note sono l’amicizia che lega Artù al mago Merlino che lo assiste ed affianca nelle sue avventure e la storia d’amore tra Artù e la regina Ginevra, in cui subentra la relazione di quest’ultima con il cavaliere Lancillotto.
Ma non tutti sanno che l’esistenza effettiva del condottiero britannico è stata, in realtà, messa in dubbio dagli storici moderni in quanto buona parte di ciò che ci è stato raccontato e che lo riguarda parrebbe essere frutto di folclore ed invenzione letteraria.
Re Artù viene citato in numerosi documenti storici, prodotti a partire dal IX secolo, in cui viene descritto prima come dux bellorum (“condottiero delle guerre”) o ameraudur (“imperatore”) e poi come Re di Gran Bretagna. La sua figura attirò l’interesse internazionale soprattutto grazie alla “Historian Regum Britanniæ“ scritta intorno al 1136 dallo storico medievale Goffredo di Monmouth, l’opera che diede inizio alla tradizione letteraria arturiana ed in cui si racconta, forse per la prima volta, anche del mago Merlino, di Ginevra e dei cavalieri della Tavola rotonda, quei personaggi secondari che, da sempre, sono legati alla storia di Re Artù.
Allora, perché mai alcuni storici moderni tendono a contestarne l’esistenza?
Sicuramente i più scettici avranno considerato la natura fantastica e sovrannaturale di alcuni elementi ricorrenti nelle storie del condottiero come, ad esempio, la presenza di creature leggendarie, maghi, magia ed incantesimi o la leggenda della spada che Artù avrebbe estratto da una roccia proprio perché degno di diventare Re di Britannia. A questi dubbi si aggiunge la scarsità di prove storiche concrete che attestino l’esistenza del sovrano o che, comunque, ne confermino le imprese e le varie figure reali e fittizie che sembrerebbero riconducibili a quella del Re.
Alcuni scritti raccontano che un uomo di nome Artù guidò i guerrieri Britannici nella resistenza contro gli invasori Sassoni intorno al V secolo, periodo cronologicamente antecedente al momento storico in cui, di solito, viene collocato Artù Pendragon. Anche nella “Historian Britonum”, testo storico del IX secolo scritto dal monaco gallese Nennio, si raccontano le gesta di un condottiero di nome Artù che combatté contro gli invasori e riuscì, addirittura, ad abbattere 960 uomini in una volta sola.
Ma fu proprio Goffredo di Monmouth, sopra citato, ad “incoronare” Artù e ad ispirare gli autori che lo successero e che presero sicuramente spunto dai suoi scritti. Goffredo sosteneva di essere in possesso di un manoscritto antico da cui aveva estrapolato le informazioni e di cui non si è mai trovata traccia. Lo storico avrebbe, quindi, potuto mentire sull’esistenza di tale fonte per rendere credibile la sua opera e dato, così, via ad un susseguirsi di racconti fondati sulla fantasia.
Infatti, si raccontò di Re Artù in oltre 500 manoscritti in cui egli veniva descritto come il più grande Re di Britannia, come colui che fu in grado di rendere la nazione indipendente e potente. Come sappiamo, però, nella letteratura medievale era comune ostentare una certa esagerazione nel narrare gli eventi: nascevano così imprese epiche ed avvenimenti sbalorditivi, frutto di menti fantasiose che volevano “arricchire” i racconti e dare alle vicende maggiore spessore per renderle più eroiche. La storia di Re Artù che oggi conosciamo è infatti il risultato di continui cambiamenti, adoperati dai diversi autori con il passare del tempo nel tentativo di adattare il racconto al periodo storico in cui vivevano e agli argomenti che attiravano la massa.
In ogni narrazione, infatti, venivano aggiunti nuovi dettagli e personaggi.
Ad esempio, fu lo scrittore francese Chrétien di Troyes ad introdurre nella storia i personaggi di Lancillotto e Parsifal, la relazione tra Lancillotto e Ginevra ed il Santo Graal, tutti elementi che poi sono arrivati fino a noi e che, attualmente, fanno parte della storia. Nel XV secolo, lo scrittore Inglese Thomas Malory, invece, mise insieme alcuni romanzi francesi ed inglesi che narravano le vicende arturiane e le sue personali interpretazioni della storia, dando vita a “La Morte di Artù”, opera in cui la leggenda viene narrata in chiave più cupa: l’autore si focalizza soprattutto sulle conseguenze e sulle azioni che hanno portato alla caduta di Re Artù e ne narra la morte.
Non possiamo, quindi, essere certi di quale fosse la vera identità di questo celebre personaggio ed ancora oggi, con il passare del tempo, gli studiosi cercano di venire a capo di questo mistero e gli attribuiscono diverse origini, come citato in un articolo apparso su Focus Storia, in cui si parla della possibilità che Artù sia ispirato ad un comandante militare romano che sopravvisse allo smembramento dell’Impero Romano d’Occidente in regni romano-barbarici.
Una cosa è certa: che sia esistito o meno da Re, capo clan, condottiero o guerriero, Artù sopravvive e rivive di continuo nell’immaginario collettivo, nelle trasposizioni e nella letteratura. In questo senso è, senza dubbio, immortale!