Sembrerebbe strano fare un articolo su Parasite, ora che ha vinto quattro Oscar e che tante recensioni sono piovute da ogni parte.
Eppure pare che sia ancora necessario tentare di spiegare i più nascosti significati e le più oscure simbologie del film, visto che quasi nessuna delle tante recensioni ne ha parlato.

Parasite è un film coreano, quindi è impregnato della filosofia asiatica, ma è anche un film molto occidentale e quindi ricco di riferimenti accessibili anche a noi.

Il film racconta di due famiglie: i Kim e i Park. La prima è poverissima, vive nei bassifondi e tutti e quattro i suoi membri sono disoccupati. La seconda è, invece, ricca e vive in una lussuosa villa sulle colline di Seoul.
L’incontro tra queste due famiglie, e gli eventi che ciò scatena, creano un susseguirsi di fatti drammatici e divertenti al tempo stesso.

Ma questo è ciò che, bene o male, hanno riportato quasi tutti i recensori, ora è il momento di andare a fondo nel simbolismo nascosto del film.

La prima questione che vorrei analizzare è quella della pietra.
La pietra (che il giovane Kim Ki-woo riceve dall’amico, insieme alla possibilità di sostituirlo nel suo lavoro a casa dei Park) è, inaspettatamente, la chiave di lettura per l’intero film.
Come il monolite nero di “2001-Odissea nello Spazio”, un oggetto così perfetto, così bello e al tempo stesso inutile, spinge l’uomo a fare tutto ciò che gli è possibile pur di arrivare a possederlo.
Ma in questo caso la simbologia è più profonda, la pietra, infatti, racchiude la critica più importante e forte di questo film: quella alla “ricerca della felicità”.
Tutte le società, che si sono create sul modello di quella americana, contemplano in qualche modo questo diritto (anche se non è presente in quasi nessuna costituzione) e ognuno, in cuor suo, crede che prima o poi riuscirà a raggiungerla, salvo poi restare quasi sempre deluso.
La pietra avvia proprio una di queste fasi nella vita del ragazzo.
Egli viene ingannato dalla speranza di una vita migliore, ha un iniziale successo, ma presto rischia di essere scoperto e la pietra interviene. Con la sua bellezza da privilegiati non gli dice di collaborare con chi è nel suo stato, con chi è povero come lui, ma si pone addirittura come strumento di morte e sopraffazione.
Ed è qui che essa colpisce i Kim (abbastanza letteralmente) e li rigetta nella polvere dove la società del “diritto alla ricerca della felicità” li ha abbandonati.
Il regista riesce quindi a condannare, in maniera sottile e criptica, uno degli aspetti più significativi del mondo moderno, raccogliendo, come si è visto negli ultimi giorni, le critiche di Donald Trump.

Un altro punto fondamentale è il tema della pioggia.
La pioggia è, nella sua banalità, ciò che rende la commedia, un dramma.
Ciò che è un divertimento per i bambini nei quartieri ricchi, è invece una tragedia per chi, come i Kim, vive nelle zone disagiate della città. L’acqua è per loro un modo di rendersi conto della classe sociale a cui appartengono, una classe che non si fa problemi ad arrangiarsi fumando una sigaretta su un gabinetto in una stanza allagata dall’acqua delle fogne.

E ancora c’è l’aspetto dell’odore.
I Park si accorgono spesso che i Kim sono accomunati da una “puzza”, una che si può sentire nelle metro e che nonostante sia definita “puzza di ravanello” ad un certo punto, è la puzza che accomuna i poveri.
Per quanto parte di questo simbolismo sia abbastanza scontato, non tutti hanno considerato una cosa: moltissimi questa puzza non la sentono.
E qua che si getta ancora un’ennesima ombra sulla situazione della nostra società.
Infatti, se non sentiamo la “puzza di povero” è perché essenzialmente, anche chi ha raggiunto una maggiore sicurezza economica (e si illude di essere magari “benestante”), altro non è che una faccia dell’infinita moltitudine di quelli che di “diritto alla felicità” ne hanno un po’ di meno.

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